Homeland – Recensione 5×12 – A False Glimmer [Season Finale]

A False Glimmer liquida la quinta stagione di Homeland coerentemente con il mood che ha accompagnato gli altri episodi, quella sensazione che non ci possano essere rimedi al male umano.

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E, in effetti, anche se l’attentato a Berlino viene sventato frettolosamente e in maniera quasi superficiale, non ci è concesso sperare in un happy ending: in qualsiasi modo si muovano le cose, sono un presagio triste per chi, come Carrie, non ha il privilegio di una vita “normale”.
Certo è che in questa stagione è un po’ mancato il brio e l’imprevedibilità tipici di Homeland, e in alcuni tratti ho un po’ sofferto il dover a tutti i costi risolvere e unire le storyline iniziali in modo da darci un senso e farci arrivare al fatidico finale di stagione.

Carrie si conferma essere il traino di tutta la serie, non smette mai di credere nella giustizia e nella ricerca della verità anche se non sempre facile da digerire, sempre molto fedele a se stessa, sempre presente e viva.
Per lei una promozione su tutta la linea, nonostante arrivi in fondo a questa faticosa stagione talmente stanca e provata che ha l’ennesimo rifiuto a quella vita e l’ennesima ricerca della normalità. Un passaggio già visto, ci riprova con Jonas – che non ce la fa proprio a stare accanto ad una donna così impegnativa – e con Saul, non accettando, in preda all’emotività, la sua proposta lavorativa.

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During, durante questo episodio dove diventa importante dare una continuità per non soccombere, fa una proposta a Carrie tanto inaspettata quanti fuori luogo: ha bisogno di una compagna di vita (!!????)… non è chiaro se solo lavorativa o anche sentimentale, ma fortunatamente la donna temporeggia. E io mi sto ancora chiedendo il perché dell’uscita di Otto, dato che fino a quel momento aveva mantenuto riservatezza e dignità.
Saul, invece, durante tutta la stagione non ha certamente brillato per intuito è genialità… anzi, si è rivelato un anziano arroccato a vecchi rancori (i.e. Carrie e Dar Adal) e incapace di esprimere gratitudine e solidarietà. Solo nell’ultimo frangente di stagione l’uomo ritrova se stesso e le sue capacità, ammettendo le sue debolezze: non solo dichiara a Carrie che ha bisogno di lei, ma chiude il conto in sospeso con Allison, tendendole un brutto agguato mentre è in fuga verso la Russia.

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Allison, meteora di questa quinta stagione nonché propulsore dell’intera trama, e fatta fuori con un’esecuzione ad opera di Saul (era proprio arrabbiato), non l’ho trovata così affascinante e anzi più di una volta sono rimasta allibita di come una donna potesse giocare e raggirare agenti CIA con un solo battere di ciglia… avida nell’anima, manipolatrice e maniaca di shopping, si è meritata la fine che ha fatto e di certo non mi mancherà.

Questo intreccio di vite, di piccole vite se si paragonano alle politiche internazionali o al terrorismo, sembra di così poco valore… ognuno non è altro che una pedina di un gioco ben più grande e pericoloso dove è solo merce di scambio e vive in una solitudine profonda, che emerge solo nei momenti in cui c’è tempo per fermarsi e guardarsi attorno.

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Questo sentimento è fortissimo per Peter. La sua vicenda mi ha riempito di tristezza, amarezza e rabbia, perché Quinn poteva essere qualcosa di più di quello che abbiamo visto durante questa stagione: un personaggio tormentato, con sentimenti veri e dalle molteplici sfumature relegato a mercenario vittima della sua stessa vita.
Durante questa stagione, però, tutto su di lui è stato portato all’eccesso e Peter è diventato il reietto di Homeland, per una buona metà degli episodi dimenticato e poi riacchiappato solo per dare un senso di connessione tra la cellula terroristica berlinese nel quale era finito (guarda un po’ che caso) e l’attentato alla metro.
Le scelte che hanno preso gli autori su Quinn non mi sono piaciute molto, e quando al capezzale dell’uomo in coma si vedono solo Carrie e Dar Adal, mi sale un moto di disgusto e angoscia perché Quinn non era solo un soldato pronto a morire per la patria, convinto di essere nel giusto e sempre pronto ad eseguire gli ordini. Ha dimostrato di essere molto di più che un mero assassino, come quando ha deciso di sfidare gli ordini seguendo il suo cuore non uccidendo Carrie a inizio stagione e di pagarne le conseguenze, e la lettera scritta alla donna prima di partire per la missione in Siria rende tutto ancora più triste e commovente.
Il gioco di luci mentre Carrie sta ponendo fine al coma irreversibile nel quale è caduto, sembra quasi darci la speranza di un miracolo, ma credo che invece la morte di Quinn sia più che altro una nuova rinascita per Carrie, sperando che faccia tesoro di quell’amore mai successo… come già successo con Brody.

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Concludendo, questa quinta stagione è stata avvolta da una sensazione di “già visto” e nonostante alcuni momenti effettivamente coinvolgenti e imprevedibili, Homeland ha sofferto proprio del dover essere incredibile nell’inventarsi una trama credibile, ricca e intricata da rimanere vittima di quello che è sempre stato il suo punto di forza.
Nonostante questo, però, Homeland rimane, per la ricchezza dei suoi personaggi e per il coraggio di affrontare tematiche tanto attuali quanto spinose, una serie che ha ancora qualcosa da dire: vedremo cosa nella prossima sesta stagione.

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